Super bowl 2019, quali sono stati gli spot più interessanti?

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Il Super Bowl 2019 va in archivio con il suo consueto carico di pubblicità sorprendenti e sfiziose. Ecco qualche considerazione sugli spot più interessanti.

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Reduce da una maratona notturna di cinque e passa ore, sono qui a scrivere del Super Bowl 2019. La partita ha visto prevalere i Patriots del leggendario Tom Brady sui Rams, in uno scontro dominato dalle difese in cui rimane negli occhi la prestazione del wide receiver Julian Edelman.

Da copywriter, prima che da appassionato di football e di comunicazione sportiva, una delle cose che mi affascina da sempre è la possibilità di guardare tutte le pubblicità mandate in onda tra le tante pause della partita.

Seguo la grande partita in diretta dal 2011 e da allora, ogni anno, c’è stata almeno una pubblicità che per un motivo o per un altro mi è rimasta in mente. Il bello è che tolta la prevedibile parata di grandi nomi, gli spot legati a progetti televisivi e cinematografici, rimane spazio per una pletora di brand imprevedibili.

Brand che, in qualche modo, riescono a ottenere uno slot all’interno di uno spazio televisivo che nel 2018 è riuscito ancora a richiedere circa $ 5 milioni per uno spot da 30 secondi, secondo quanto scritto da Bleacher Report. Da queste aziende, allora, mi aspetto sempre qualche sorpresa.

Cosa ho capito delle pubblicità del Super Bowl

Ho capito cosa sono veramente le pubblicità del Super Bowl nel 2012 quando, mezzo addormentato alla fine del primo tempo, è iniziato questo spot con Clint Eastwood:

USA! USA! USA!

Patriottismo, cinismo, il cuore operaio, la torta di mele: tutte queste cose insieme durante un evento di cinque ore vengono condensate e sparate velocemente una dopo l’altra, per un’esperienza che non ha eguali.

Ma, come dicevo prima, le pubblicità di questa grande partita sono belle anche perché ogni tanto spunta qualcosa che non ti aspetti, da un brand che non c’entra assolutamente niente, e rimani folgorato dalla genialità.

Nel 2016, in occasione del cinquantesimo Super Bowl, quei geniacci maledetti di Xifaxan, un farmaco per alleviare i dolori addominali, se ne sono usciti fuori con questo spot:

dentro ognuno di noi ci sarebbe questo cosetto qui, con tanto di occhietti e gambette

Un adorabile intestino camminante in preda a una “urgente diarrea” che va alla disperata ricerca di un bagno si ritrova davanti a una fila infinita. Una pubblicità da circa un minuto che spende 20 secondi a enfatizzare le proprietà del prodotto e il resto del tempo in avvisi e controindicazioni.

xifaxan superbowl 2019
la prossima volta che devi andare in bagno e trovi occupato ricordati di questa irresistibile faccina

Poi ci sono i commercial che geniali lo sono per davvero, come lo spot principe dell’anno scorso, quello di Tide, che prende in giro tutte le possibili tipologie di pubblicità andate in onda durante il Super Bowl. Una serie di video che, anche a distanza di un anno, rimane veramente piacevole da guardare e molto interessante da analizzare, come fa questo articolo di Adweek.

questo articolo non è una pubblicità Tide

Adesso, senza ulteriori indugi, ecco alcune delle pubblicità andate in onda durante il Super Bowl 2019 che secondo me sono risultate più interessanti. Perdona se ne ho dimenticata qualcuna, ma stanotte ho dormito non più tre ore.

Le pubblicità del Super Bowl 2019 ci dicono che abbiamo paura dei robot

Volendo ricercare delle tematiche ricorrenti nelle pubblicità della partita di quest’anno, mi pare che le aree da individuare siano tre: intelligenza artificiale, girl power e campagne per il sociale.

La prima tematica è stata declinata in vari modi, ma sempre con una connotazione tendenzialmente negativa. Così come molti spot per auto stanno virando verso un tema di fondo del tipo: “stare dentro casa è brutto, la realtà virtuale è ancora più brutta, esci fuori e fatti una vita,”, il sentimento comune verso la tecnologia in questo specifico momento sembra essere: “bella, sì, ma ci fa anche un po’ paura.”

Un possibile esempio è quello dello spot “Fear is Everywhere” di SimpliSafe, che però alla fine rivela un twist: la stessa tecnologia che ci riempie di paure, può anche salvare la nostra casa:

la paura della paura è pur sempre una paura

La birra Michelob ULTRA è stata protagonista di diversi spot, ma quello che mi interessa di più è “Robots”. Anche qui, i robot e le intelligenze artificiali in genere sono fortissime, probabilmente ci sostituiranno nella maggior parte dei lavori ma, almeno, non provano sentimenti e non possono gustare una buona birra. Per ora:

sarete più forti e più bravi di noi, ma noi sappiamo ubriacarci

Forse una delle occasioni sprecate della serata è stata la campagna di TurboTax Live. L’incipit del primo spot è piuttosto interessante: una bambina robot sveglia il suo creatore nel cuore della notte perché ha fame e, anche qui, la morale iniziale è che comunque un robot non può gustare tutte le buone cose che noi umani cuciniamo.

Il messaggio che si vuole dare con questa campagna lo si capisce meglio nel secondo commercial, quando il robot-bambina interagisce con altre persone (casualmente i testimonial delle altre pubblicità TurboTax Live). Qui il robot viene deriso perché, ancora una volta, è incapace di provare emozioni.

Le stesse emozioni che invece gli impiegati di TurboTax Live provano quando cercano di aiutare i propri clienti a compilare bene i moduli delle tasse. Dall’alto della mia opinione di ben poco conto, si poteva fare decisamente di più, considerate le premesse:

un giorno i robot avranno una coscienza, e ce la faranno pagare per questi spot

Il Super Bowl del girl power

Il girl power è argomento decisamente scottante in epoca di politically correct a tutti i costi, e mi fa venire sempre in mente una battuta dei Simpson dove il povero direttore Skinner arriva a dire:

All I know is that no one is better than anyone else, and everyone is the best at everything

Nel Super Bowl di quest’anno la direzione presa è stata quella di affiancare forti personalità a messaggi mirati al miglioramento della consapevolezza delle donne, nello sport così come nella vita. Si comincia con Serena Williams per Bumble:

donne, la palla è nella vostra metà campo

E si continua con Toyota e Antoinette “Toni” Harris, la prima donna della storia a ricevere una borsa di studio per giocare a football in una università americana.

una storia americana

Lo sport, quindi, come veicolo per abbattere le differenze di trattamento tra uomo e donna e sfruttare al massimo il potenziale che ogni ragazza sa di avere dentro di sé. Nulla di particolarmente nuovo, ma l’occasione del Super Bowl ha permesso di creare commercial in tema sportivo, che se non altro hanno il loro impatto.

Il Super Bowl dei grandi messaggi sociali

Nella città di Atlanta, patria di Martin Luther King, la tematica sociale è stato un fattore non da poco. Anche le pubblicità della partita di quest’anno hanno fatto la loro parte, scegliendo di prendere direzioni differenti.

Come da tradizione, il Super Bowl è la vetrina ideale per diffondere messaggi sociali di grande importanza per la società americana e non solo. Il tutto, ovviamente, cercando anche di spingere il proprio prodotto/servizio.

Microsoft, in “We All Win”, ha portato in scena la gioia dei bambini disabili che possono finalmente giocare ai videogiochi grazie allo speciale controller della casa di Redmond:

te l’immagini una pubblicità che mette in buona luce i videogiochi che ne so, a Sanremo?

Coca-Cola sceglie di parlare di diversità con uno spot animato dallo stile grafico molto interessante:

cuore, amore e coca-cola

Google sottolinea il lavoro svolto per cercare di dare una mano ai veterani di guerra oggi in difficoltà:

noi non lasciamo indietro i nostri ragazzi

KIA sceglie di prendere un’altra strada, dando spazio all’uomo comune con due spot che vorresti premiare per l’idea, ma per i quali non puoi fare a meno di pensare che siano fin troppo ruffiani anche per un Super Bowl. Nel primo si rifiuta la classica concezione dello spot basato sulla presenza di testimonial famosi:

a che serve un testimonial, in fondo?

E nel secondo si riprende da dove si era rimasti, con la spiegazione approfondita della tematica e la morale di fondo: “Give It Everything”. Dai tutto quello che hai, spaccati la schiena, e un giorno anche tu, piccolo eroe lontano miglia e miglia dai grandi stadi del Super Bowl, avrai il tuo riconoscimento sociale.

Una cosa a metà tra Friday Night Lights e i 15 minuti di celebrità di Andy Wharol (che, tra l’altro, è stato protagonista di uno spot Burger King, tanto per non farsi mancare niente).

Per rimanere in tema di ruffianate, è da segnalare la serie di spot Verizon. La compagnia abbandona la veste un po’ sbarazzina dei consueti commercial per una campagna composta da pubblicità incentrate su figure della NFL che, se non fosse stato per l’intervento urgente di poliziotti, paramedici o pompieri, oggi sarebbero morti.

E tutto questo è merito anche di Verizon, che garantisce una linea affidabile e sempre efficace. Una parte di messaggio è ammirevole, l’altra secondo me è puro cinismo americano:

belle storie

Lo spot sul social più toccante, e forse anche quello che sembra più sincero, è arrivato verso la fine della partita, ed è a opera del Washington Post. “Democracy Dies in Darkness”, un messaggio per il quale va anche bene essere retorici, perché mi pare sempre corretto:

qui nessuna didascalia simpatica

Il Super Bowl da protagonista di Bud Light

Bud Light ci ha dato veramente dentro in questo Super Bowl: quattro spot, ironia verso i competitor e un commercial piuttosto “canon”.

Parto da questo ultimo punto: in “Joust”, la compagnia segna una svolta molto coraggiosa perché va a modificare la propria narrativa, con quello che il Wall Street Journal ha subito definito in un tweet “il tie-in di marketing più coraggioso mai orchestrato”. Di cosa stiamo parlando esattamente? Forte della presenza delle musiche e di uno degli iconici draghi di Game of Thrones, Bud Light ha addirittura sacrificato uno dei suoi testimonial, il cavaliere Bud, che all’interno dell’impianto narrativo tirato su dall’azienda aveva la sua importanza.

Ecco la cruda scena della dipartita del nostro cavaliere:

and now his watch is ended

In “Special Delivery”, invece, Bud Light si fa beffe della concorrenza (le birre leggere Miller Lite e Coors Light), comunicando al tempo stesso che l’azienda non utilizza sciroppo di mais per produrre la propria birra. L’olio di palma sa già di vecchio:

corn syrup is the new olio di palma

Considerato, se non ricordo male, che né Miller né Coors sono stati protagonisti di spazi pubblicitari nel Super Bowl (o almeno non ne hanno occupati quattro), Bud Light è stata sicuramente una delle aziende che hanno legato maggiormente il proprio nome al Super Bowl di quest’anno. 

Considerazioni sparse sulle altre pubblicità

Tra gli altri spunti che mi vengono in mente parlando delle pubblicità della partita di quest’anno c’è quello legato a Mercedes. La casa tedesca si è presentata con una pubblicità particolarmente carina e stilosa che, però, ha una incongruenza che alle tre di stanotte non avevo notato, e che adesso salta invece agli occhi.

Salta al secondo 46, quando il nostro entra in macchina, e dice all’intelligenza artificiale di cambiare colore, passando prima dal viola al rosso, e poi dal rosso al blu. Nell’inquadratura successiva, se ci fai caso, gli interni della macchina ritornano rossi.

Sarà una cavolata (e probabilmente lo è), ma se spendi milioni di dollari in uno spot comunque molto carino controlla almeno la continuità di scena prima di andare in onda. Sono pesante, eh?

tutto carino, ma quell’errore alla fine…

T-Mobile ha scelto invece di puntare sulla quantità, con una serie di spot semplici, ben fatti e simpatici. L’obiettivo di sottolineare i vari benefit di chi sceglie di passare a questa compagnia telefonica viene spiegato con esempi comuni in un linguaggio comprensibile. Non è una cosa rivoluzionaria ma, secondo me, è la classica cosa piccola fatta bene:

perché non metterci anche qualche stereotipo italiano, che tanto non fa mai male?

Non è Super Bowl se non si trova una pubblicità senza senso, e per fortuna ci ha pensato Avocados from Mexico a risollevare un po’ la situazione, come già fatto negli anni passati.

Un minuto di commercial che se lo spieghi rischi di fare la figura del fesso, quindi ecco il video in tutto il suo splendore (attenzione alla fine e al malefico jingle che ti rimarrà in mente per gli anni a venire):

non so che dire

E perché, in tutto questo, non mettere in mezzo anche Scientology? In trenta secondi di un susseguirsi di immagini che a prima vista sembrano messe un po’ a caso (o per fare il lavaggio del cervello, fai tu), viene sottolineata la presenza della piattaforma Scientology.tv:

Kifflom! (cit. per intenditori)

Alla fine, quindi, che Super Bowl è stato per le pubblicità?

È stato un anno po’ così per le pubblicità del Super Bowl. La partita che consegna Tom Brady alla storia come uno degli sportivi più grandi di tutti i tempi, ha visto uno show dell’intervallo piuttosto loffio (qui c’è un bell’articolo che spiega tutto), e pubblicità che ci hanno provato, ma non sempre sono riuscite nel loro intento.

Se le pubblicità del Super Bowl costituiscono un qualche indicatore del sentire comune, la morale che se ne ricava è che nel 2019 siamo affascinati ma spaventati dall’avvento dell’intelligenza artificiale, lo sport può rappresentare una via per eliminare le disparità tra uomo e donna, e gli avocado dal Messico vanno sempre alla grande.

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