Di cosa parla questo articolo?
L’altro giorno Spotify mi ha dirottato su una playlist dedicata ai nuovi cantanti italiani. Oddio, da una parte mi lusinga il fatto che l’algoritmo di una piattaforma di streaming mi consideri in target generazione Z. Dall’altra, ho fatto veramente fatica a decodificare il modo di fare di questi tizi. E questo è un altro segno che mi dice che sto invecchiando.
La musica è uno dei prodotti che più di ogni altro comunica chi siamo. Così come un vestito o una macchina, una canzone può impregnarsi di significati. Molte volte pensiamo che siano messaggi noti solo a noi (“Ascoltavo questa canzone quando facevo XYZ”), ma secondo me non è solo questo. Ascoltare musica vuole dire affermarsi nei confronti degli altri, dare un messaggio.
Ad esempio, io ascolto ormai quasi esclusivamente roba indie americana/canadese, con incursioni nel brit pop/rock. Una parte del mio cervello mi dice che lo faccio perché oggettivamente mi piacciono i Rilo Kiley, Katie Melua, Regina Spektor, Lissie, Jenny Lewis, Sharon Van Etten, Julia Jacklin, Stella Donnelly, i Silver Jews, o le First Aid Kit (giusto per dirne un paio). L’altra finge di non sapere che lo faccio anche per rafforzare l’idea che ho di me stesso. E cioè di un tizio che ha dei gusti un po’ stravaganti e usa una musica il più possibile estranea come mezzo per distanziarsi un filo dalla realtà in cui vive.
Jenny Lewis, che te lo dico a fare.
E questo discorso si appiccica veramente bene ai cantanti italiani del momento. Che attraverso le loro canzoni, consentono all’ascoltatore di identificarsi in maniera molto precisa. Non tanto – o non solo – per cosa dicono, ma per come lo dicono.
I giovani cantanti italiani, tra un raga e un bella zio
Titolo un po’ ingiusto, ma che mi serve per introdurre meglio quello di cui voglio parlare.
I messaggi dei nuovi cantautori italiani sono sempre più legati alle loro esperienze giovanili. Realtà urbane difficili, amori difficili, difficoltà in genere. E qui non c’è molto di diverso dal solito. Ma, come dicevo, è il come dicono tutte queste cose che mi pare interessante.
Molto spesso questi ragazzi saltano fasi intere di “gavetta”, grazie ai social e a tutto il resto. Hanno qualcosa da dire, lo dicono, e al pubblico piace. Questo fa sì – credo – che la loro preparazione non sia sempre completa. E che la loro dizione non sia sempre perfetta. Insomma, hanno inflessioni dialettali che tradiscono la loro provenienza.
Ma non è un difetto, anzi. E per primo lo diceva l’irreprensibile Rocco Hunt nel 2014: “La mia gente non deve partire/Il mio accento si deve sentire:”
e bravo a Rocco
Una cosa diversa rispetto a Nino D’Angelo, Califano, persino De Andrè o, più recentemente, i Sud Sound System. Loro si esprimono (non sempre) in dialetto. I giovani cantanti italiani sulla cresta dell’onda parlano con accento dialettale. E c’è una bella differenza.
capolavoro totale
Che rapporto c'è tra linguaggio, artisti italiani e musica?
Io sono un povero millennial che inizia francamente a capirci poco di Tik Tok, trap e cose del genere. Però ho fatto in tempo anche io a venire a contatto con il tipo di musica che poi si sarebbe trasformata nel fenomeno giovanile che è oggi. Tradotto in parole, la mia fissa rap tardo-adolescenziale era Mondo Marcio.
Oltre alle tematiche e allo stile, Marcio anticipava una delle tendenze della musica italiana moderna: l’accento. Solo che lui era talmente avanti che la sua parlata era una specie di americanata in salsa lombarda. Così “Bro” diventa “Fra” e via così:
tutti quanti vogliono fare i soldi, right?
Andando avanti, per tutta una serie di ragioni che non spetta a me spiegare, il Bronx brianzolo di Mondo Marcio si è “normalizzato”. Non c’è stato più bisogno del Bronx, insomma, andava bene Buccinasco. Che è il luogo dove è cresciuto Fedez, uno di quelli che il suo accento milanese lo fa sentire eccome. Questa è una delle sue prime hit, del 2012:
figa, senti le vocali belle aperte
Come al solito, il rapporto tra realtà e intrattenimento è un circolo continuo. La realtà impone a Fedez di parlare in quel modo. Cantando in quel modo, lui ha successo. Avendo successo, chi lo ascolta si sente autorizzato a parlare in quel modo.
Ovviamente non c’è solo Fedez. Esiste tutta una pletora di cantanti italiani più o meno famosi che fanno sfoggio del loro accento. E non solo milanese.
L'accento romano ha un flow che non ti dico
Mentre ero in fila un negozio l’altro giorno ho ascoltato Pillole di Ariete. Che ho scoperto essere una giovane cantante della zona di Roma. Nonostante il mio essere piuttosto estraneo a tutto il mondo che implica una canzone del genere, devo ammettere che la sto ascoltando più o meno ininterrottamente da giorni:
ascolta, chiudi gli occhi e sei a Roma sud, più o meno
Mi chiedevo perché. Perché un tizio come me si era fissato per una canzone del genere. Io che inseguo oscuri gruppi musicali americani che non conosce nessuno. Di alcuni ho anche i dischi in edizione limitata. Tipo gli Speedy Ortiz, molto carini, senti:
non sono stonati. Si chiamano dissonanze. E se sei un gruppo indie di scappati di casa sono fighissime
Ritornando al discorso di Ariete, sono arrivato alla conclusione che ad affascinarmi non è il testo, non è la cantante, è proprio l’accento. Ammetto di essere ricorso al testo scritto per capire quali diavolo sono le prime due parole della canzone. Che ho scoperto essere Associo Roma (meglio, “Assoscioroma”). Rispetto al milanese, il romano mi pare avere un flow (consentitemi di essere ggiovane) molto diverso, più morbido, forse più vicino al napoletano.
In ogni caso, è una cosa affascinante. Perché è proprio l’accento che mi ha avvicinato un minimo a queste canzoni. Continuano a non piacermi – meglio, continuo a non capirle. Ma tramite il linguaggio, questi nuovi cantautori e cantanti emergenti mi hanno dato di che pensare. Dici tu: “Problemi tuoi”. E invece no, perché la faccenda non finisce qui.
Che succede se a un guagliò si sostituisce un raga
Trap, rap e hip-hop vanno per la maggiore oggi. Perché sono i generi fatti dai ragazzi per i ragazzi. Che si influenzano a vicenda. Questa cosa dell’accento, però, io la vedo spuntare fuori con forza solo adesso.
Quando ero piccoletto io, il rap era un’altra cosa. Si andava da cose belle, belle belle come questa:
sempre bella e attuale
A cose che se le senti oggi e dici: “Che diavolo”, ma devi ammettere che ti piacciono comunque:
dal 1996 sono cambiate tante, tante cose
Io mi ricordo chiaramente che la cosa “ganza” da fare era imitare lo scratch o fare un po’ di beatbox come veniva. Ma visto che tutto sommato i cantanti di noi “ggiovani” parlavano in maniera “normale”, non c’era tantissimo da fare. E oggi però non è così. Perché se il proprio cantante preferito parla con accento milanese, o romano, possono nascere fenomeni affascinanti.
Così, non è raro che sotto casa mia a Catanzaro Lido, Calabria, possa sentire ragazzini che alternano un “guagliò” a un “bella raga”, in mix calabro-lombardo che nemmeno anni di emigrazione e valigie di cartone erano riusciti a creare.
Il nostro accento si deve sentire, insomma
L’impresa dei nuovi cantautori e cantanti italiani, che nascono sulla strada e crescono sul web, è proprio questa. Riuscire a comunicare col loro linguaggio, che poi diventa il linguaggio dei fan.
Adesso che “il mio accento si deve sentire” profetizzato da Rocco Hunt è realtà, ora che il linguaggio si mescola con una facilità mai vista prima, sarà interessante vedere quale sarà il prossimo passo. E capire come evolverà il nostro linguaggio.
Le canzoni dei rapper di oggi raccontano di cose universali, ma lo fanno in modo diverso. Non solo nello stile e nella forma, ma anche nell’accento. Ed è interessante pensare che oltre al milanese – l‘accento commerciale per eccezione – si affianchino anche altre voci, a volte più adatte e musicali.
uno spot avanti anni luce
Però, attenzione. Non tutti fanno così. Ci sono esempi dove la corretta dizione italiana è ancora un mezzo particolarmente forte e da utilizzare. Uno dei casi più recenti che mi viene in mente è quello di Levante, cantante apertamente siciliana.
E che però nella canzone che l’ha portata al grande successo basa l’ironia del ritornello nella dizione della “e” di “Me”, che invece di essere chiusa (come in me, pronome) è aperta come in me… ci siamo capiti:
finezze che sfruttano la dizione italiana. Mica noccioline
Aggiornamento 2024: da quando ho scritto questo articolo il trend dei cantanti che si esprimono con una dizione non propriamente neutra si è confermato con la consueta forza. E cosi siamo arrivati alla canzone vincitrice di Sanremo, La noia di Angelina Mango, dove si può sentire un ammirabile “ammè mmi viene ammè mmi viene la noia”. Una specie di Olivia Rodrigo all’italiana che tende un po’ al melodramma in modo piacevole:
bel video
In ogni caso, attraverso le inflessioni dialettali, i nuovi cantanti comunicano messaggi. Perché crescere è una faccenda difficile. E far sentire da dove vieni non fa che avvicinarti ai tuoi ascoltatori.
Bella raga.
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