Di cosa parla questo articolo?
Il tema del lavoro da remoto mi pare più che mai attuale. In questo articolo ti parlo della mia esperienza come copywriter, ma secondo me è un discorso che vale per tantissime altre figure lavorative.
Il lavoro remoto fa parte della mia vita ormai da qualche anno e, per fortuna, sembra stia andando bene. Tra le tante cose che imparo ogni giorno, c’è una considerazione che mi sembra sempre più evidente. Ancora più evidente in questo particolare periodo storico (a beneficio del lettore del 2030: qui nel 2020 stiamo ancora lottando con la pandemia da Coronavirus).
Nel momento in cui lo smart working è diventato un obbligo, in tanti hanno dovuto affrontare problematiche (e opportunità) con le quali io mi misuro da un bel po’ di tempo. Non a caso, di recente il mio pezzo sulle abilità essenzali dei copywriter da casa ha fatto un bel balzo nel ranking di Google, segno che l’interesse intorno all’argomento c’è (e anche che il contenuto è stato scritto bene, yay!).
La mia attenzione non vuole andare sull’argomento generale smart working, work-from-home, telelavoro o come lo vuoi chiamare. Il focus è – paradossalmente – molto più territoriale.
Che significa glocale?
Dal dizionario Garzanti:
Il lavoro da remoto incontra il marcato glocale
Quando studiavo marketing all’università mi sono imbattuto in una citazione di Eric Johansson, presidente Electrolux. Diceva:
La mia strategia è di essere globale dove posso e locale dove devo
È sicuramente una riflessione interessante, declinabile in centinaia di modi diversi, che dà un po’ il via al concetto di cultura “glocale”. Imprese che agiscono su uno scenario globale e che, però, sanno individuare le specificità locali dei mercati in cui operano. E da qui, di solito, nei manuali di marketing partono gli esempi di cosa non fare quando si gioca con globale e locale. Del tipo: chiamare prodotti in un certo modo può portare a danni di immagine in un mercato piuttosto che in un altro, e via così.
A me però non interessa parlare di imprese, ma di professionisti. Anzi, di copywriter impegnati col lavoro da remoto. Perché queste figure – come altre, ma io parlo del mio caso – incarnano un nuovo spirito, un nuovo modo di vivere il proprio lavoro.
Ti spiego perché.
la raccolta del grano può essere glocal. Magari questa no però
Lavoro remoto e glocalismi generazionali
Io abito a Catanzaro Lido, quartiere di Catanzaro, Calabria. Giù giù proprio. Lontano da Milano, lontano dal business, lontano da tante cose. Fare il lavoro che faccio adesso qualche anno fa sarebbe stato impossibile.
Mi sarei dovuto mettere l’anima in pace, preparare la mia bella valigetta e prendere il treno che partiva alle dieci di sera, risaliva faticosamente tutta l’Italia e arrivava a Milano Centrale il pomeriggio dopo. Anzi, no, perché questo treno l’hanno tolto, ovviamente. Pazienza, avrei dovuto prendere l’aereo. Meglio, avrei dovuto prendere il treno che mi portava all’aereo. E poi l’aereo che mi portava al pullman. E poi il pullman che mi portava alla metro. E poi la metro che mi portava da qualche parte verso zona Fiera o qualcosa del genere. Bam.
E invece no, perché grazie a internet, la democratizzazione degli strumenti di produzione e tutta un’altra lunghissima sequela di processi che non devo spiegarti, la situazione è cambiata. È arrivato il telelavoro e il copywriter si è dematerializzato.
Ecco che le figure come le mie, che non hanno bisogno di art director o altri professionisti del genere, hanno iniziato a lavorare da sole, nella loro stanzetta, ai confini del mondo.
rappresentazione poco affidabile e a basso costo di un copy che lavora da casa
Basta valigia di cartone: largo al glocale
Catanzaro Lido è un popoloso quartiere che farà sì e no 20mila abitanti. Non riesco a pensare a qualcosa di più locale. Il giovedì mattina – quando non ci sono pandemie in giro – c’è il mercatino, a fine luglio c’è la festa della Madonna, a gennaio si ammazza il maiale. Cose così. Il paradigma del south working spiegato come meglio non si potrebbe.
E io, immerso in questo ecosistema, ogni giorno mi ritrovo a parlare con soggetti sparsi per il mondo. Perché tra i miei clienti si trova un po’ di tutto.
Ho iniziato collaborazioni con aziende letteralmente di tutta Italia, dalla Sicilia alla Lombardia, andando anche fuori i confini nazionali. Scrivo per una testata che fa capo a una società con sede in Svizzera, quindi sono pure un copy transfrontaliero, vedi un po’. L’altro giorno ho emesso una fattura per un lavoro con una piattaforma canadese. E la mia prima commessa è stata per una società tedesca. Cose che fanno venire il mal di testa al mio commercialista.
Però penso che renda l’idea, no? Il poter lavorare da remoto mi permette, ad esempio, di andare al mercatino, la mattina, sparare qualche parola in dialetto e comprare melanzane sottolio, capicollo e nduja. E il pomeriggio posso scrivere mail in inglese a una project manager spagnola che lavora per una piattaforma canadese.
Questa mi sembra essere l’essenza della cultura del glocalismo. Qualcosa che consente a un professionista di mescolare le dimensioni locali e globali in maniera fluida, autonoma, quasi inconsapevole. Sovvertendo completamente quello che diceva Johansson, allora, secondo me la giusta definizione di glocale, almeno per i professionisti, è:
Essere locale dove posso e globale dove devo
Il lavoro da remoto aiuta a essere un professionista migliore?
Ho vissuto a Como per parte della mia infanzia. Diciamo che un minimo – minimo minimo – so come funzionano le cose sia al sud che al nord. La mia sensazione strisciante è che non siano in molti a godere della mia stessa conoscenza. Sia in alta Brianza che a Ballarò. Ed è una cosa piuttosto importante perché, specie se si ha a che fare con la comunicazione, essere coscienti delle varie percezioni che il target può avere a seconda della sua posizione geografica è essenziale.
Questo vuol dire che comprendere la realtà del proprio territorio può dare una gran mano anche nelle commesse dalla portata più internazionale. Mischiare ininterrottamente cultura locale con esperienze globali aiuta, aiuta tantissimo. E non sono cose che riguardano solo la scrittura, informazioni teoriche o le proprie conoscenze tecniche.
Ti faccio qualche esempio di esperienze locali/globali che ti possono aiutare:
- Cercare su Youtube qualche sketch di un comico regionale/Guardare serie TV e film in lingua originale
- Parlare in dialetto con i propri nonni/Scrivere una mail in inglese
- Ascoltare musica italiana anni ‘60/Seguire su Instagram Billie Eilish (che se ti devo dire, non saprei, però è per fare un esempio)
- Andare alla partita della squadra del tuo paese/Guardare i playoff NBA con la telecronaca originale
- Giocare a carte al baretto/Partecipare a un torneo in multiplayer di un videogioco contro tizi coreani fortissimi
È importante mescolare queste esperienze, è importante essere un copy da remoto che agisce nel glocale. Perché più mischi, più sai muoverti sia nel locale che nel globale, e più possibilità hai di capire realmente a chi devi indirizzare la tua comunicazione. E capire bene questo, corrisponde più o meno a tre quarti delle conoscenze che devi avere per fare bene il copywriter online.
Uno dei grandi successi di Micu ‘u Pulici. Perché un articolo glocal deve avere questi contrasti, immagino
Senza contare che la conseguenza clamorosa del lavoro da remoto è che si può fare qualcosa di buono anche senza spostarsi dal proprio paesello. E se questa dinamica si estende a sempre più professioni, la cosa non potrà che fare bene su un numero tale di livelli che viene il mal di testa a pensarci. Ma qua si straborda nella sociologia e in altre discipline, quindi è meglio chiuderla qui.
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